“NON NE POSSO PIÙ…”

diciannovesima tempo ordinario 2021
(XIX dom. t.o. 1Re 19,4-8; Gv 6.41-51)
“Ora basta, Signore! Prendi la mia vita!”. È il profeta Elia che non ne può più e grida il suo lamento verso Dio: il mestiere di profeta è duro quando i risultati non ci sono e le parole annunciate sono come discorsi fatti al vento. Il popolo non ascolta e il profeta è tentato di gettare la spugna. E mentre ancora sta dicendo “non ce la faccio più” ecco venire a lui un angelo: “su mangia perché è troppo lungo per te il cammino”. È Dio stesso che viene a dirgli: “non contare sulle tue forze che non ti basteranno per percorrere tutto il cammino che è ancora troppo lungo, ma conta su di me, sulla forza che ti darò giorno per giorno”. E così… il profeta esanime… sconfitto… riprende forza e vigore grazie a quel pane che, misteriosamente si trova davanti e riprende a camminare per quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio. È solo riconoscendo la propria debolezza davanti a Dio che si riacquistano forze nuove, mai sperimentate prima. “Quando sono debole, è allora che sono forte” diceva già san Paolo. E io aggiungerei: è solo allora che sono forte perché sperimento la forza stessa di Dio, mentre se conto sulle mie povere forze, il cammino sarà troppo lungo e si esauriranno prima. L’importante è manifestare al Signore il proprio stato d’animo. Con Dio ci si può lamentare (Giobbe e Geremia sono gli esempi più forti): lamentarsi con gli altri non serve a niente perché si rimane tali e quali, ma con Dio serve eccome, perché dopo se ne esce diversi, tante cose cambiano e forze nuove spuntano! Quante volte Dio, da ogni angolo della terra, si sarà sentito gridare: “Non ne posso più”. Sarà stato il malato terminale, corroso nel suo corpo da un male che sembra non finire mai… o forse un anziano, rinchiuso in un ospizio, oppure rimasto in casa ad affrontare l’insopportabile afa estiva, da solo, senza nessuno con cui condividere la pesantezza delle gambe che non lo reggono più, il buio degli occhi che vedono ormai poco o nulla, la chiusura dell’udito che non permette di sentire nemmeno una televisione a tutto volume, e spesso facendo i conti con un mondo che non è più suo perché d’improvviso si ritrova dove non pensava di essere, o peggio, dove pensava che non ci sarebbe andato mai. “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita!”… è il grido di tanti popoli della terra, oppressi, esiliati, maltrattati e mal sopportati dai popoli lontani assetati delle loro terre e delle loro ricchezze; è il grido dell’uomo della strada, stanco di dover cambiare letto ogni notte per ritrovarsi alla fine sempre sotto lo stesso portico, a litigare per un pezzo di cartone da condividere con un drogato, a scappare dai giustizieri della notte che devono lasciare “pulite” le strade… è il grido di ogni disperato che spesso non esce neppure fuori e rimane soffocato in gola da una corda stretta intorno al collo, o affogato in un cocktail di alcool, fumi e veleni… Mi pare di sentirlo, questo grido: “Prenditi la mia vita, Dio; riprenditi questo schifo di vita che nessuno ti ha detto mai di darmi e a cui pochi, molto pochi, hanno voluto veramente bene. Gettala via tu, perché non so più che farmene!”. E mi chiedo: Perché, allora, insistere come Chiesa ad annunciare il Vangelo ad un mondo che di Dio non ne vuole proprio sapere? Perché insistere a cercare vita laddove tutto ci parla di morte? Siamo forse noi cristiani migliori degli altri? Abbiamo qualche dote in più? Spero proprio che nessuno di noi lo pensi! E così… Dio prende la nostra vita e, come quella di Elia, la guida per un deserto fatto di incomprensioni, di persecuzioni, di sofferenze, di difficoltà, di aridità, di voglia di farla finita! Ma il deserto di Dio è fatto anche di meravigliosi incontri con lui e con la sua misericordia. È fatto di angeli che incrociano il nostro cammino e ci danno coraggio, conforto, aiuto. Per un ragazzo solo che brucia la sua vita nella banalità di un bicchiere di alcolici, o in una smodata corsa con l’auto, o nel fumo rilassante di qualche sostanza, capita spesso che ci sia un angelo – non sa bene come – che si innamora di lui, e che con amore lo scuote dalla sua noia, e lo invita ad attaccarsi a lui, e a volare alto, laddove possa sognare ciò che la vita non gli ha permesso di sognare, ma soprattutto a volare lontano da ciò che gli dona una pace solo apparente. E magari capita anche che non ci si accorga subito di questi angeli e del loro pane di vita. Pensiamo, come Elia, che sia qualcosa di cui servirci al momento, come un amore “mordi e fuggi”, e poi, arrivederci e grazie, e si torna coricati ad aspettare la notte. Ma l’Angelo della Vita ci scuote e un’altra volta ci chiede di mangiare e bere dalla sua mensa, perché – e nessuno lo nega – “il cammino per te è troppo lungo”, e da solo non ce la puoi fare, e di certo non basta una volta sola per volare là dove lui ci vuole condurre. Se è vero, come lo è, che crediamo nella forza dell’amore, c’è per noi un Pane di Vita che non è come tutti gli altri tipi di pane che ogni giorno, in maniera diversa, troviamo sulla nostra o sull’altrui mensa. Ed è un altro pane proprio perché è “altro”… perché è “l’Altro!”. Sì, stiamo parlando di quel Pane della Vita che è l’Eucaristia, che è Cristo stesso… quel Pane che è simile alla manna nel deserto, perché anch’esso è disceso dal cielo; solo che questo Pane non marcisce il giorno dopo, e per di più chi ne mangia morirà sì, come ogni uomo, ma portando dentro di sé il germe della vita nuova, della Resurrezione! Non rifiutiamo questo Pane. Non proviamolo una volta soltanto, saltuariamente, per fare un piacere alla moglie, o alla mamma, o per onorare la memoria di una persona cara il giorno del suo funerale; non nascondiamoci dietro a un perentorio “non me la sento”, “non ne sono degno”, perché è vero, degni non lo saremo mai. Ma lui non si dona a noi in quanto “degni” di riceverlo. Lui si dona a noi perché vuole che in lui… mangiando di lui, abbiamo vita, e vita in abbondanza. Rialziamoci, quando cadiamo a terra prostrati dalla vita e dal peccato: rialziamoci, guardiamo al nostro angelo del cielo, e mangiamo il Pane che egli ci offre. Il cammino è troppo lungo per noi, questo è certo: ma con la forza dell’amore che si fa nostro cibo, ce la possiamo e ce la dobbiamo fare. E il miracolo del pane in terra si ripeterà!